PAOLO VI «UOMO SPIRITUALE»
di Carlo Maria Martini, Edizioni Studium, Brescia-Roma 2008.
La raccolta di discorsi e scritti del card. Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, sul pensiero e l’opera di Paolo VI, più ancora sulla sua figura di credente, documenta la stima e la devozione del primo per la limpidità della testimonianza di fede del secondo, unitamente alla scoperta di una congenialità nel leggere e dischiudere il segreto dell’esistenza umana.
Perché Martini ha capito Paolo VI. Lo conferma già, del resto, la scelta del motto episcopale, «Pro veritate adversa diligere», di chiara impronta montiniana. Più ancora, la circostanza di ritrovarsi suo successore sulla cattedra di Ambrogio ha fatto sì che in Martini scattasse il desiderio di mettersi «alla scuola di Paolo VI», per assimilarne il gusto della preghiera come scoperta dell’intimità con Dio, per imitarne il desiderio di lasciarsi vincere dalla «dolce violenza dell’amore di Cristo», per condividerne la tensione appassionata per la riforma della Chiesa, per sperimentarne l’interiore e criticamente sofferta assimilazione della cultura moderna. Spigolando qua e là fra i saggi qui offerti ‒ composti in circostanze e tempi assai disparati, in assenza di un fil rouge ragionato, se non quello dell’agenda congestionata di impegni dell’arcivescovo di Milano ‒ è possibile caratterizzare un ritratto di Paolo VI, alla luce dei frammenti, delle tracce e delle rievocazioni che accompagnano l’esercizio di memoria del cardinale Martini.
«Come poche persone del nostro tempo, Paolo VI è riuscito a risvegliare nell’uomo d’oggi il brivido del mistero, lo stupore per l’eccezionalità, l’unicità, l’assolutezza della figura di Cristo, il senso delle realtà sovrumane contenute nell’umanissima vita della Chiesa; ma ha fatto tutto questo impiegando le potenzialità, le sfumature, le risorse e anche le sconfitte, le opacità, le ritrosie del linguaggio, della sensibilità, della mentalità, della cultura dell’uomo d’oggi. È stato un credente e un maestro della fede, che ha parlato non solo all’uomo d’oggi, ma da uomo d’oggi. È stata così limpida e matura la sua che è riuscita a esprimersi anche nell’età e nella cultura dell’incredulità, della secolarizzazione, dell’uomo maggiorenne, fiero del proprio progresso o disperato per la propria solitudine. Ed è stata così interiore, personalizzata, criticamente sofferta la sua assimilazione della cultura contemporanea, da permettergli di scoprire in essa le nostalgie, le contraddizioni, le brecce segrete, attraverso le quali aprirsi all’annuncio della fede».
Dalla Prolusione al Colloquio Paolo VI e la cultura, Fondazione Ambrosiana Paolo VI (Gazzada, 07. 04. 1983).