A 30 anni dalla scomparsa, Giovanni Battista Montini raccontato da Cristina Siccardi
«Paolo VI. Il Papa della luce» (edizioni Paoline, pp. 432, euro 24).
Cristina Siccardi è apprezzata biografa di beati e santi, oltre che autrice di delicati profili femminili come «Mafalda di Savoia. Dalla reggia al lager di Buchenwald» (1902-1944). Ora si cimenta con Paolo VI, una personalità che qualcun altro, facendogli torto, liquida come intellettuale complesso, amletico, incompreso. E qui, soprattutto per i più giovani, è bene ripercorrerne le principali tappe biografiche.
Il 6 agosto 1978 moriva papa Paolo VI. A trent’anni da quell’evento, che si può definire epocale, fioccano incontri, trasmissioni tv, articoli, libri. Perché ora (soltanto ora verrebbe da commentare) avviene come per «La quercia caduta» del Pascoli: «La gente dice: “Or vedo: era pur grande”». Per farne ammirare la personalità, ben vengano quindi biografie come quella di Cristina Siccardi.
Giovanni Battista Montini, questo il nome di battesimo, nasce a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897. Il padre, Giorgio, è esponente di primo piano del cattolicesimo sociale e politico dell’epoca: il giovane per anni vede ospite in casa, tra gli altri, Alcide De Gasperi. Il 29 maggio 1920 Giovanni Battista è ordinato sacerdote. Trasferitosi a Roma, nel 1924 è aiutante nella Segreteria di Stato e poi è nominato anche assistente ecclesiastico della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici.
Nel 1937 è sostituto della Segreteria di Stato e diventa stretto collaboratore di Pio XII. Nel 1952 è pro-segretario di Stato per gli Affari ordinari. Il 1° novembre 1954 Pio XII lo elegge arcivescovo di Milano. Quattro anni dopo è creato cardinale da Giovanni XXIII, a cui succede sul soglio pontificio il 21 giugno del 1963. Il 29 settembre dello stesso anno apre il secondo periodo del Concilio ecumenico vaticano II, che conclude solennemente l’8 dicembre 1965. Inizia una nuova èra per il cattolicesimo, e lui (preso tra spinte contestatrici e conservatrici) cerca di farsene interprete, tra l’altro, con l’enciclica Populorum Progressio, attenta alle esigenze del Terzo Mondo e della pace (1967), con l’impopolare Humanae vitae sulla regolazione delle nascite (1968), e con la lettera apostolica Octogesima Adveniens (1971) che condanna l’ideologia marxista e il liberalismo capitalistico.
Nel frattempo, è il primo papa a usare l’aereo. Memorabili sono i viaggi in Terra Santa dove incontra il patriarca ortodosso Atenagora (4-6 gennaio 1964) e il discorso all’Onu, a New York (4-5 ottobre 1965).
Poi, il 1° gennaio 1968 celebra la prima Giornata mondiale della Pace. Il 24 dicembre 1974 inaugura l’Anno Santo, che conclude con l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. Quella dove si legge una frase quanto mai attuale: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Persegue la politica ecumenica e quella di “apertura” verso i Paesi dell’Est europeo.
Il 22 aprile 1978, in uno dei suoi gesti più commoventi, rende pubblica una lettera: «Io [sino ad allora, i papi hanno usato il pluralis maiestatis, ndr] scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse (…): vi prego in ginocchio,liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità». Invano. Il 13 maggio assiste alla messa in suffragio dello statista e amico.
Muore a Castel Gandolfo pochi mesi dopo, il 6 agosto, giorno in cui la Chiesa celebra la solennità della Trasfi gurazione. Per qualcuno, una coincidenza; per il cristiano, un segno. Il funerale è sobrio come mai prima: una bara di legno chiaro, poggiata sul sagrato di piazza San Pietro.Nel suo libro Cristina Siccardi sfata alcune distorsioni fatte della figura di Paolo VI, come l’immagine di vescovo e papa “di sinistra”, frutto di strumentalizzazione. Ne presenta la personalità complessa, la nobiltà d’animo e l’umiltà, la sua figura scomoda perché troppo colto, profondo e quindi impopolare, il suo essere intellettuale proiettato nel divino ma che cerca di comprendere l’uomo nelle sue fragilità e nelle sue altezze.
Attraverso documentazione inedita emerge un pontificato che appare anche un calvario per lui. Un papa insomma che, come conclude la Siccardi con una splendida pennellata, «era pescatore e pittore di anime».
Articolo di Michele Gota pubblicato in La vita cattolica,
settimanale della Diocesi di Cremona domenica 27 luglio 2008