Da Avvenire del 9 maggio 2018
di Fulvio De Giorgi
“Mentre resta incombente il rischio che ci si avvii alla fine della legislatura più breve della storia della Repubblica al primo giorno dopo le elezioni a oggi, almeno un risultato è stato ottenuto. Per merito del Presidente della Repubblica. Dopo una campagna elettorale urlata ed esagerata, con toni forti o comunque arroganti (e sempre autoreferenziali), l’atmosfera generale è stata opportunamente raffreddata e avviata, il più possibile, verso binari di confronto e di ragionevolezza.
Naturalmente non sono mancati e non mancano tuttora veti e giudizi perentori verso gli avversari e non si deve dimenticare che c’è sempre il rischio che si debba rivotare a breve: questo vuol dire che la campagna elettorale in qualche modo continua.
E tuttavia, le procedure istituzionali proprie di una democrazia rappresentativa, interpretate al meglio dal presidente Mattarella, attento verso tutti, rispettoso verso tutti, teso a una soluzione democratica della crisi, hanno rappresentato – come dire? – un contesto condiviso di serenità politica. Non sarà, forse, sufficiente, da solo, per risolvere tutti i problemi. Ma è una lezione che non può essere dimenticata e fatta cadere. Anche e soprattutto se ci saranno nuove elezioni a breve.
L’antica regola ecclesiastica per le decisioni importanti era: maior et sanior pars. Decide la parte maggioritaria e la più saggia. I partiti, indubbiamente, hanno rappresentato il principio maggioritario, il presidente Mattarella il principio sanioritario: la sanior pars . Forse tutto questo ha un significato storico più vasto. I cattolici democratici non hanno più una visibilità politica tra i partiti italiani: forse allora, in questo momento, la loro funzione storica è di secondo livello: non nella maior pars ma nella sanior pars . Perché – è il caso di ribadirlo – quello di Mattarella è lo stile della migliore tradizione cattolico-democratica: di De Gasperi e di Moro, di Bachelet e di Ruffilli. Uno stile “grigio” perché fondato sulla serietà, sulla competenza, sulla misura, sull’autocontrollo, sull’antiretorica, sul fare il proprio dovere senza cercare i riflettori.
Il “grigio democratico” non ha nulla a che vedere con il grigiore dei pavidi, né con l’algida intelligenza dei tecnici, né tanto meno con la nebulosità dei torbidi (che nascondono malaffare e corruzione). Il grigio democratico ha come fede civile la Costituzione e serve la Repubblica «con disciplina e onore»: pensando al bene comune, a partire dalla rimozione degli ostacoli economici e sociali che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Il grigio democratico dunque sa arrivare fino all’eroismo più alto: penso ai già ricordati Moro, Bachelet e Ruffilli.
Ma penso anche a Piersanti Mattarella, a Walter Tobagi e a uomini di legge come Occorsio, Ambrosoli, Livatino, Falcone, Borsellino e tanti altri, e ai membri delle Forze dell’ordine che hanno perso la vita nell’adempimento del loro dovere. Questa parola, dovere, sembra oggi quasi antica, superata: parliamo, se mai, di rispetto dei diritti altrui. Ma dovere è parola che, certo implica il rispetto dei diritti altrui, tuttavia è più grande: perché si fonda sulla voce interiore della propria coscienza morale. Certo nella maior pars , nei toni dei politici, ma anche nel linguaggio della televisione o del web, come pure della società (specialmente nei ragazzi) il grigio democratico è in minoranza. Prevalgono i toni gridati, offensivi, arroganti, supponenti, irrispettosi, per non dire del turpiloquio e della scurrilità (sino alla bestemmia): abbiamo visto come la scuola italiana ne sia segnata e abbia un compito durissimo: educare a toni diversi dei ragazzi che tra loro, in famiglia e dai media assorbono codici comunicativi in cui la mancanza di autocontrollo è scambiata per sincerità e autenticità, in cui la furbizia è glorificata e il bullismo diventa l’autobiografia della Nazione.
Ma il grigio democratico, come sanior pars, ci ricorda che chi grida di più non ha per questo più ragione ma solo più voce; che non tutto è realizzabile e non si può mettere a referendum l’abolizione della legge di gravità. Dobbiamo perciò essere grati al Capo dello Stato perché ci offre un esempio vero e chiaro del grigio democratico. E ci ricorda che c’è differenza tra radicalismo (cioè proposte progettuali ben radicate in presupposti ideali) e settarismo (riproposizione fanatica e autoreferenziale delle proprie posizioni o “opposizioni”). È auspicabile che, sempre più, la maior pars , cioè l’insieme delle forze politiche, impari questa lezione. E consideri che per governare ci vuole la maggioranza assoluta e che questa si raggiunge – nella situazione tripolare nella quale ci troviamo – con un confronto leale e serrato che conduca a convergenze e dunque ad alleanze, meglio se indicate durante la stessa campagna elettorale. Non si possono sbeffeggiare gli altri durante la campagna elettorale e poi, dopo, chiamarli per governare insieme.
Per quanto la società italiana possa essere oggi in difficoltà, tuttavia è legittimo che la Repubblica si attenda una classe politica seria e competente, appassionata, ma educata, con il senso delle Istituzioni. Il presidente Mattarella, alto interprete di una tradizione politica vera, ci mostra che è (ancora) possibile.