Autrice: Monica Zornetta
Editore: B.C. Dalai Editore
Collana: I saggi
Prezzo: € 15.00
Ha un grande pregio questa recente biografia di Felice Maniero di Monica Zornetta, agguerrita giornalista – che già ci aveva regalato «A casa nostra. Cinquant’anni di mafia e criminalità nel Veneto», l’unico affresco sull’influenza delle mafie a nordest -: tenta in tutti modi di sfuggire al personaggio Maniero, così adatto al divismo televisivo, evitando così di cedere al folclore ed entrando invece nei vicoli cupi della sua attività.
Troppe volte Maniero è riuscito ad addomesticare i mass media proponendosi come scapestrato giovanile, brillante anticonformista abile e gioviale comunicatore [indimenticabile il suo «ciao mamma» alle telecamere dopo il suo ultimo arresto a Torino] tanto da far dimenticare la sua responsabilità nell’aver inondato di eroina il Veneto per un paio di decenni e di aver ucciso con freddezza complici e amici.
Zornetta evita il macchiettismo e racconta – pienamente e lucidamente -, la storia ed accenna alle molte zone d’ombra, anche tra gli apparati dello stato, che la carriera criminale di Maniero continua a riservare, in primis il contenuto del patto che è avvenuto tra inquirenti e il bandito e che ha consentito le sue rivelazioni. Sullo sfondo il Veneto in trasformazione degli ultimi decenni, con un’economia che macina denaro, lavoro e crimine in un intreccio non sempre districabile. Manca nel racconto un particolare: l’alleanza di Maniero con l’ndrangheta del boss Trovato, che rafforzò l’organizzazione in Lombardia, testimoniata dal pentito Giuseppe Di Bella – intervistato da Gianluigi Nuzzi in «Metastasi», edizioni Chiarelettere –, un’alleanza che avrebbe seminato frutti ancora oggi rigogliosi e che vedrebbe Maniero tutt’altro che in disarmo e distante dalle faccende criminali.
(da Bollettino EstNord #37)